La comunicazione per il Terzo Settore richiede le medesime competenze che servono a comunicare bagni schiuma e auto di lusso. La buona volontà non basta: serve professionalità.
Questo articolo raccoglie e organizza le considerazioni nate dall’esperienza diretta con un ETS – Ente del Terzo Settore e cerca di riassumere considerazioni utili ed applicabili ad ogni realtà non-profit.
Premessa
Da un anno, con la società Visionplus, lavoro quotidianamente a contatto con Michele Ferri e la squadra di Passo dopo Passo…Insieme, un’associazione di volontariato che nel 2003 ha inventato un format di doposcuola pensato per contrastare l’insuccesso scolastico dei preadolescenti delle scuole medie.
Il nostro obiettivo comune è quello di comunicare questo format, il “Meglio dopo, Insieme”, ben lontano da quel parcheggio per ragazzini disagiati al quale si pensa quando si pensa ad un doposcuola. Il progetto di quest’associazione è la sfida di creare uno spazio inclusivo per tutti i ragazzi (non soltanto quelli che vanno male a scuola) e di sfruttare i compiti scolastici per stimolare l’autonomia personale e la responsabilizzazione dei preadolescenti.
In quest’anno di lavoro fianco a fianco, ci siamo resi conto che non è per niente semplice raccontare quel che fa una associazione non profit. Vendere un prodotto standardizzato come un dentifricio è invece molto più facile, perché non bisogna spiegare, ad esempio, cosa sia un dentifricio.
In questo sforzo, inusuale per molte organizzazioni non profit, Passo dopo Passo…Insieme ha un vantaggio, un “ingrediente segreto”. È il mantra che Ferri, recita incessantemente quando si tratta di far partire una qualsiasi iniziativa: “Il bene bisogna farlo bene”. Il che significa che ci vuole professionalità anche nella gratuità. “Senza misurazione degli sforzi e dei risultati, dice Ferri, non può esserci efficienza e senza efficienza le risorse e le buone intenzioni vengono sprecate senza fare il bene di alcuno”.
Perché un ente del terzo settore dovrebbe comunicare?
Le ragioni più frequenti per le quali un ente del terzo settore decide di comunicare con l’esterno sono essenzialmente due: la ricerca di fondi e la condivisione delle proprie attività, magari per ottenere collaborazione. In entrambi i casi il proposito ultimo è quello di accedere a nuove risorse, siano esse economiche o umane. Per un ente del terzo settore – perciò – comunicare non è una scelta, ma una necessità.
E dal momento che le azioni delle organizzazioni senza fini di lucro richiedono risorse proprio come avviene per le aziende, è necessario imparare a coinvolgere beneficiari e attività filantropiche per riuscire ad attrarre finanziamenti. Oltre che farlo, dunque, il “bene” va comunicato e comunicato bene, chiarendo quel che si fa e perché i vantaggi riguardino una collettività ampia, non ristretta a quella dei beneficiari diretti.
Non parliamo soltanto della pubblicità ma anche delle relazioni istituzionali e del contatto periodico con i vari portatori d’interesse (stakeholder) e della redazione di normale materiale informativo. Che se ne renda conto oppure no, una realtà non profit fa comunicazione con ogni propria azione e ognuno dei suoi collaboratori ne è un ambasciatore. Ignorare questa semplice verità ha delle conseguenze che limitano le possibilità di sviluppo di quell’organizzazione.
Gli stakeholder degli Enti del Terzo Settore
Un ente del terzo settore, ha contatti con una molteplicità di interlocutori. Tra i diversi stakeholder abbiamo anzitutto i destinatari del servizio, la comunità, i soci, i sostenitori a vario titolo, i finanziatori e – attenzione – gli enti filantropici. Con ognuna di queste controparti servono strumenti e linguaggi diversi.
Come si parla, allora, a queste realtà? Ci sono alcuni principi fondamentali che valgono per ogni tipo di comunicazione e, poi, alcune specificità per il terzo settore. In ogni caso, il fatto che un’organizzazione si interroghi sui contenuti e le modalità della propria comunicazione – come vedremo – può avere molte ricadute positive sull’attività ordinaria dell’organizzazione stessa.
Partiamo con una considerazione di carattere generale: comunicare bene non è facile. Chi conosce gli strumenti del comunicare sa quanta ingenuità si possa trovare in certi professionisti: bravi nel loro settore di attività, ma poco abituati a comunicare al di fuori dei circuiti specializzati, dove molte cose sono già chiare. L’errore più frequente è quello di credere che “siccome facciamo una buona cosa, allora quel che abbiamo da dire interesserà a tutti”. Sfortunatamente non è così.
La comunicazione per il terzo settore
Sgombriamo subito il campo da un dubbio: il fatto che gli scopi siano non-profit, non richiede ad un Ente del Terzo Settore meno risorse e professionalità di quante ne servano ad un’azienda. Anzi: nel Terzo Settore esistono limiti aggiuntivi.
Ciò è vero sia per la comunicazione pubblicitaria vera e propria (“above the line”) quella per “vendere” l’organizzazione, ma anche per quella più istituzionale ordinaria (below the line), quella che deve tenere i rapporti con i beneficiari e gli enti e le istituzioni sia per la filantropia sia per patrocinio, divulgazione, concessione di spazi e risorse. In pratica la comunicazione deve gestire quella massa di materiale fatto di (soltanto per citare gli elementi più comuni):
- Sito Web e Blog
- Campagne di Pubblicizzazione e divulgazione
- Newsletter
- Gestione dei social media
- Brochure, testi per la partecipazione a bandi pubblici
- Preparazione dei testi necessari a divulgare le iniziative dell’ente.
- Creazione e diffusione di comunicati/ note stampa, Relazioni con i giornalisti
Ognuno di questi elementi deve confrontarsi con alcune specificità caratteristiche di tutta la comunicazione delle organizzazioni non-profit. Vediamone alcune.
Le risorse disponibili
Le risorse a disposizione sono limitate, mentre la concorrenza degli altri enti per attirare l’attenzione dei finanziatori è molta. La cronica scarsità di risorse e la difficoltà di procurarsele è una triste consuetudine in questo settore
Chiunque si sia avvicinato ad una organizzazione non profit sa che spesso queste esperienze si chiudono con buchi finanziari enormi, anche quando l’attività “core” funzioni bene. Tanto per capire la dimensione della questione, ricordiamo come uno studio recente di Fondazione Cariplo mostri che due terzi delle organizzazioni senza fini di lucro italiane prevedono di chiudere i bilanci del 2020 in perdita.
Imparare a farsi ascoltare
Il bene bisogna farlo bene in ogni aspetto dell’attività, comunicazione compresa, perché si può anche fare una cosa buona e comunicarla male, ma questo è dannoso. Chi padroneggia meglio strumenti e linguaggi … riuscirà a farsi ascoltare e ad ottenere più fondi.
Un’altra difficoltà deriva dal fatto che gli effetti della comunicazione sono cumulativi nel tempo e molto legati alla quantità di mezzi utilizzati (ancora una volta parliamo di budget ed investimenti): un conto è fare un annuncio per la chiesa cattolica e chiedere di destinarle l’8 x1000 e un altro conto è chiedere il 5×1000 per una piccola associazione di provincia della quale il potenziale donatore nemmeno conosceva l’esistenza. Ancora una volta, è come se per vendere un dentifricio noi dovessimo prima spiegare cosa esso sia. Invece tutti sanno cos’è la Chiesa cattolica, cosa sia l’8×1000 e – bene o male – sappiamo come e perché la chiesa lo adopererà. La Chiesa cattolica è un concorrente temibile nella raccolta fondi (ma anche un partner importante nelle iniziative di tanti ETS).
Le competenze professionali
L’organizzazione di un ente del terzo settore è spesso “essenziale” quanto a numeri e personale e le realtà più piccole non dispongono di collaboratori che sappiano come raccontare l’organizzazione stessa, soprattutto quando si tratti di farlo per raccogliere fondi. Gli enti del terzo settore sono, giustamente, più concentrati sul fare che sul raccontare.
Ma raccontare quel che si fa è importante. Il volontariato spesso non trova le competenze necessarie e volte non capisce nemmeno bene l’esigenza di comprarle all’esterno, sul mercato, come fanno le imprese quando ingaggiano agenzie e professionisti.
Lo stile comunicativo
Un ulteriore limite è di tipo “morale”: gli enti del terzo settore hanno il desiderio e la necessità di adoperare un linguaggio e un tono di voce istituzionale. Ciò limita l’adozione di alcune forme di comunicazione come quelle basate sulla provocazione, che – invece -è spesso molto efficace nel suscitare empatia o reazione. n effetti la provocazione si può anche adoperare, ma per gli enti del terzo settore essa deve sempre rimanere entro limiti molto precisi: “Bene o male, basta che se ne parli” qui non è una formula accettabile.
Il modo in cui un ente sarà in grado di raccontare ciò che fa con il denaro che raccoglie e il beneficio per i sostenitori fa la differenza. Lo scopo duplice, qui, è quello di informare persuadendo.
Nei panni del beneficiario
Un altro limite ancora è di tipo psicologico: mentre chi acquista un bene conosciuto attraverso la pubblicità o la comunicazione d’impresa, ad esempio, gode direttamente di un certo beneficio, la cosa è diversa per chi sposa la causa di un ente del terzo settore perché in questo caso il beneficio è quasi sempre indiretto.
In questi casi, quando raccontiamo una piccola realtà poco conosciuta, dobbiamo far sì che il nostro interlocutore possa immedesimarsi nel beneficiario della nostra opera e procedere con tutta la narrazione, sperando che capisca cosa ci sia che lo riguarda in quell’iniziativa. L’ente che vuol comunicare, perciò deve riuscire a ottenere che il destinatario della sua comunicazione si immedesimi nel beneficiario del servizio. (E se capitasse a te di…?)
L’ampiezza del target di riferimento
Qui incontriamo un limite davvero importante e non facile da aggirare: l’ambito al quale ci rivolgiamo è spesso molto ristretto se non, addirittura, locale. Perciò il costo di ogni contatto (è questo il modo di misurare il costo/beneficio di simili iniziative) sarà piuttosto alto mentre le risorse sono – invece – scarse. È chiaro che il costo sostenuto per contattare nuovi sostenitori non dovrà mai essere superiore al beneficio atteso.
Anzitutto il pubblico è esposto ad una molteplicità di sollecitazioni ed è spesso distratto e quando il rumore di fondo è elevato, per farsi sentire bisogna “alzare la voce” e questo è costoso.
Coerenza nella comunicazione ed efficacia
Cosa fare, allora, soprattutto se le risorse a disposizione non consentono di reclutare dei professionisti della comunicazione?
La prima cosa necessaria è proprio la chiarezza della propria identità, prima ancora delle proprie necessità comunicative.
Ciò che – realmente –un’organizzazione comunica quando fa comunicazione, che se ne renda conto oppure no, è sempre se stessa e la propria identità (reale o ideale). Questo è quel che nel marketing viene definito “posizionamento” ovvero il modo nel quale vuole essere percepita. Il posizionamento deve essere credibile e coerente: un ente del terzo settore, così come un’azienda deve dire e fare cose tra loro coerenti, se vuole che le si creda e che il suo pubblico di riferimento si fidi e “compri” i suoi prodotti.
Vision e Mission
Un’organizzazione, pertanto, dovrebbe aver ben chiara una Vision del mondo e del contesto nel quale opera e, di conseguenza quella che ancora si chiama Mission, ossia la descrizione di quel che fa e del perché lo fa. Quando la mission viene arricchita con una descrizione della relazione con i clienti (i beneficiari) e le organizzazioni concorrenti, questa “dichiarazione di posizionamento” (Positioning Statement) costituirà la trascrizione del codice genetico di quell’organizzazione, alla luce della quale illuminerà i propri passi. Per ottenere buoni risultati, ogni singola azione di comunicazione, non potrà mai più essere lasciata al caso e dovrà essere coerente con quella dichiarazione. Ogni membro dell’organizzazione dovrà esserne consapevole, dato che, ogni membro dell’organizzazione è – di fatto -un ambasciatore della propria organizzazione.
La Vision e la Mission, il posizionamento che abbiamo scelto, sono la base della narrazione (o storytelling) della nostra organizzazione, ossia del modo nel quale noi raccontiamo e racconteremmo quel che stiamo facendo e perché. Questa narrazione deve essere condivisa con tutti i membri dell’organizzazione e ne costituisce la base culturale, aiuta ogni singolo membro ad agire coerentemente con le finalità dell’organizzazione stessa e costituisce anche la base per ogni azione di comunicazione verso l’esterno. Ricordiamoci che i nostri interlocutori, non soltanto i media, comprano una storia per rivenderla al pubblico. Se la storia non c’è, nessuno compra quel che abbiamo da dire e al pubblico non arriva nulla.
Costruire gli elementi di una buona comunicazione nel Terzo Settore
Una volta stabilite la necessità e la decisione di comunicare, si può definire la strategia costruendola intorno a cinque elementi essenziali. Anzitutto bisogna sapere perché comunicare (non è ovvio come sembra) e cosa comunicare, ma per completare il quadro servono altre tre cose: sapere chi si voglia raggiungere con questa comunicazione, come passare il messaggio e dove raggiungere gli interlocutori.
A titolo di esempio, immaginiamo un ente che voglia partecipare ad un bando per l’assegnazione di fondi da parte di una fondazione filantropica.
Per confezionare un messaggio efficace, sarà necessario avere buone risposte alle seguenti domande:
- Perché comunicare? Quale scopo ci si propone di ottenere?
Lo scopo potrebbe essere quello ottenere l’assegnazione di fondi mostrando la bontà del lavoro svolto. - Cosa si intende comunicare? Qual è l’unico messaggio, l’unica cosa veramente importante che deve assolutamente arrivare all’interlocutore?
Potrebbe trattarsi, qui, del modo speciale nel quale il nostro ente ad un bisogno sociale - A Chi si desidera comunicare? Chi è l’interlocutore di questa specifica comunicazione? A cosa è sensibile, cose gli interessa, quale livello d’istruzione ha, a quale tipo di comunicazione è abituato?
Nel nostro esempio il destinatario della comunicazione sarà la commissione che valuta l’erogazione dei fondi. In questo caso, il bando ha reso chiare le richieste e si dovrà fare attenzione a toccare con precisione e in maniera esauriente i punti indicati nel bando stesso. - Come si deve comunicare? Quali sono il tono di voce e lo stile opportuni? Bisogna adoperare un gergo professionale? Oppure un linguaggio quanto più semplice possibile? Un tono serio oppure leggero o, addirittura, ironico?
In quest’esempio, il tono e gli argomenti dovranno essere trattati in modo istituzionale, con il giusto gergo professionale e, magari, finanziario. - Dove si dovrà comunicare? Qual è lo strumento, il mezzo, più adatto a far arrivare questo specifico messaggio realizzato apposta per quel destinatario con lo scopo che si è stabilito? Dove, in quale canale di comunicazione, su quale “mezzo”, si può sperare di trovare l’interlocutore meglio disposto nei confronti dell’ente che ha predisposto la strategia di comunicazione?
Nel nostro esempio lo indica il bando: si dovrà fare una presentazione o scrivere un progetto, ma se – invece –si intendesse chiedere il 5×1000 per un’associazione di volontariato locale, lo strumento appropriato potrebbe essere la stampa di volantini, oppure dei post su facebook o, ancora, un’inserzione su un giornale locale. Oppure, magari, tutte e tre le cose insieme.
Un po’ di strategia di comunicazione
Per concludere, vediamo qui qualche indicazione di carattere strategico da adoperare quando ci si accinge a realizzare concretamente un’attività di comunicazione. La cosa migliore da fare è adottare la politica dei piccoli passi: valutare bene le energie necessarie e non cominciare cose che non ci sarà la forza o il tempo per continuare, come siti web, newsletter quotidiane, dirette video, podcast e presidio di tutti o social media. Vale la pena di iniziare con pochi elementi e aggiungere nuovi strumenti un po’ alla volta, mano a mano che l’esperienza e le risorse lo consentiranno.
Ecco qualche elemento da utilizzare nella produzione dei contenuti di comunicazione. La lista, naturalmente, non è esaustiva. I contenuti, ad esempio, dovrebbero essere corretti e migliorati con i risultati di un costante monitoraggio dei risultati delle azioni precedenti. Per iniziare, tuttavia, attenersi a questi punti può già fare la differenza.
Avere qualcosa da dire (che sia interessante per chi legge)
- Avere realmente qualcosa da dire
- Domandarsi se esista un pubblico per quel che si ha da dire
- A cosa è sensibile quel pubblico (argomenti, strumenti)?
- Dare all’ interlocutore qualcosa che abbia valore per lui.
- Valutare se quel che si intende dire e quel che il pubblico ha interesse a leggere coincidano
- Spiegare le cose dal punto di vista di chi vi legge.
- Cercare di essere sempre interessanti perché… Chi non trova interessante ciò che riceve potrebbe smettere di seguire (e di leggere le newsletter, ad esempio).
- Non comunicare tanto per farlo, soltanto perché lo fanno già tutti.
Come dire quel che si vuol dire
- Spiegarsi come ad un bambino piccolo con poche parole semplici. Se si impara a fare questo, allora si può spiegarlo a tutti. Usare sempre questo grado di semplicità.
- Non dare per scontata nessuna informazione, a meno che non si stia parlando di cose che sono davvero di pubblico dominio.
- Usare il linguaggio e il tono appropriati al mezzo che si sta adoperando. Ad esempio, evitare di usare su facebook il tono quello che si utilizzerebbe tra specialisti del settore.
- Scegliere soltanto strumenti e i canali di comunicazione davvero utili ad uno scopo specifico, non per essere dappertutto: ci sono “luoghi” e contesti dove è improbabile che il nostro pubblico presti attenzione al nostro messaggio.
- I video sono potenti. Se può considerare di usarli, ma è necessario sapere che richiedono molto lavoro preparatorio.
- Se si ricorre ad un’agenzia esterna, bisogna trasferirle bene il contesto, i benefici e tutto quanto costituisce l’identità dell’organizzazione, perché la comunicazione di questo tipo richiede (nei contenuti se non negli strumenti) delle specificità importanti. Qui il messaggio implica il mezzo con il quale comunicare.
Interessare i media giornalistici
- I media vogliono storie da raccontare, notizie. Bisogna riuscire a capire cosa, tra quel che si vuole dire, possa suscitare l’interesse dei giornalisti (che, a loro volta, pensano a cosa possa essere interessante per i loro lettori).
- I risultati non possono mai darsi per scontati: i giornalisti non sono la nostra cassa di risonanza e ricevono centinaia di segnalazioni ogni giorno.
- Evitare di inviare messaggi a qualunque giornalista di cui si siano avuti i recapiti. Assicurarsi che quelli che si decide di contattare si occupino del settore nel quale opera l’ente.
- Se qualche giornalista si mostra interessato all’attività dell’ente, bisogna essere collaborativi. Anche nei periodi successivi all’uscita di un articolo o di un servizio, conviene fornire aggiornamenti sulle novità rilevanti della nostra attività e ricordare che, probabilmente, potrà occuparsi nuovamente di noi se ci sono cose che siano di interesse pubblico.
- Costruire il rapporto con i giornalisti è un lavoro lungo e impegnativo. Deve essere di reciproco vantaggio: se saremo in grado di dar loro una buona storia, ci ascolteranno anche la prossima volta che li contatteremo.
- I mensili che danno ampio spazio al Terzo Settore sono uno dei mezzi più interessanti per divulgare notizie sulle attività dell’Ente. Bisogna tener presente che “chiudono” il numero almeno un mese prima dell’uscita in edicola. Calcolare due mesi è ancor meglio: a meno che non si sia una realtà molto conosciuta, nessun giornale troverà posto per la nostra notizia all’ultimo minuto.
- In cosa quel che fa il nostro ente è diverso da quel che fanno altri che si occupano delle stesse cose? Magari siamo gli unici che si occupano di una certa cosa in una data zona, ma dobbiamo saperlo raccontare. È importante sapere cosa raccontare, senza presunzione e senza eccessiva modestia.
- Il terzo settore concorre alla realizzazione del bene collettivo, ma non adotta standard di performance e misura poco i risultati. Se noi lo facciamo, possiamo arricchire la nostra storia con numeri e statistiche, avremo qualcosa in più da raccontare.
- Utilizzare i membri dell’organizzazione e i beneficiari come testimonial del lavoro dell’Ente è una buona idea: poche parole spontanee di chi ha esperienza diretta, valgono molto più di tante belle parole teoriche.
Per concludere
Concludiamo con un consiglio semplice, che prescinde da ogni – imprescindibile – competenza professionale: per migliorare significativamente la qualità della comunicazione e i suoi risultati, bisogna mettere ogni energia nell’imparare a mettersi nei panni del proprio pubblico e delle sue necessità, perché le competenze tecniche si possono acquistare, ma il know-how di un Ente è un patrimonio insostituibile.