A distanza di trentacinque anni esatti, rileggo un articolo che mi ha dato qualche soddisfazione e provo a capire quanto esso sia ancora attuale. L’articolo si intitola “Quando la coscienza va in vacanza” . Si occupa di droga e giovani. Erano gli anni ottanta e ci si domandava se i giovani fossero vittime o colpevoli dell’uso e dell’abuso di stupefacenti che li stavano falciando. A pensarci adesso, il dubbio espresso dal tema appariva fastidiosamente perbenista, ma era soprattutto un espediente per non giustificare i giovani senza attribuir loro nemmeno l’ombra di una condivisione di responsabilità su ciò che stava capitando.
Ero giovane pure io e vivevo in una piccola città alla periferia di Milano, un luogo dove l’uso di sostanze era massiccio, complici tante difficoltà sociali, che lì erano soprattutto il frutto di troppe circostanze sfavorevoli, delle necessità che avevano fatto crescere troppo velocemente quel paesone e lo avevano ridotto ad un quartiere dormitorio senza rete di protezione sociale.
Concludevo il mio articolo dicendo che:
Eviterei dunque una contrapposizione tra vittime e colpevoli. Per quanto riguarda la droga non credo che i giovani ne siano colpevoli. Vittime forse. Ma allora lo sono in quanto soggetti più deboli di una società che è vittima di se stessa, simboli e segni accidentali di certe contraddizioni non risolte che casualmente hanno determinato il fenomeno droga, ma che allo stesso modo avrebbero potuto concretizzarsi in qualsiasi altra forma.
Ecco qui mi ci ritrovo: per molti la droga era ed è una fuga. La droga come vizio, invece, è ancora per pochi e per qualche manager strizzato dalle multinazionali.
Oggi come trentacinque anni fa i giovani sono ancora una “generazione di sconvolti che non ha più santi né eroi”, per usare ancora una volta le parole di Vasco Rossi. Solo che oggi siamo tutti in fuga. I giovani e i loro genitori, che poi sono quelli della mia generazione o di quella appena successiva.
Trovare un senso a questa vita
Perché quella della ricerca di senso è una questione che non riguarda più soltanto i giovani e la mancanza di risposte si fa tanto più dolorosa quanto più grandi sono state le promesse che la via ha, implicitamente, fatto ad ognuno di noi.
Oggi quella dalle “sostanze” non è più l’unica dipendenza, l’unico modo di procurarci dopamina. Oggi abbiamo i social, che sono le bottiglie nelle quali chiudiamo i nostri messaggi d’aiuto. E freneticamente, compulsivamente, continuiamo a controllare che qualcuno li abbia letti, quei messaggi, che abbia commentato o almeno messo un cuoricino.
Siamo soli
Che noi ce ne rendiamo conto oppure no, siamo soli, viviamo in una Società e ci siamo sbarazzati della comunità. Qui valgono soltanto i rapporti sinallagmatici, uno vale uno e ognuno se la deve cavare da solo. Siamo tutti utili risorse umane fino a quando la delocalizzazione, la razionalizzazione, la globalizzazione o la robotizzazione non ci rendano obsoleti, costosi, superflui.
E prima o poi succede. E succede anche ai nostri figli, che grazie ai telefonini sempre connessi alla rete e ai social non si vergognano più di mandare un messaggio alla persona che gli piace, che si distraggono dalle lezioni, che si sentono piccole star e aspirano a diventare youtuber e influencer, in dipendenza dal feedback del pubblico. E sanno tutto del sesso, ma male, per averlo imparato da youporn . E non sanno niente dell’amore, perché non glielo insegna più nessuno, perché non lo pratica più nessuno, perché le cose gratuite non hanno valore, come tutti i valori.
Il consumo di sostanze dilaga
E ad un certo punto nemmeno i telefonini bastano più e il consumo di droghe tra i giovani aumenta tanto e velocemente e si estende a fasce d’età prima impensabili, come dichiara la Commissione Parlamentare per l’Infanzia. Il consumo di stupefacenti è divenuto un rito sociale esteso, un passatempo al pari degli altri, un consumo come gli altri, un rimedio all’ansia da prestazione che va di pari passo alle nuove richieste di adeguatezza sociale che, invece di ridimensionarsi, si sono moltiplicate oltre misura. E naturalmente la cosa non riguarda soltanto i giovani: le sostanze stupefacenti sono un “genere di conforto” per tutte le età e per tutte la categorie sociali.
Le restrizioni rese necessarie dalla pandemia del Covid stanno ulteriormente peggiorando le cose: i ragazzi chiusi in casa non ci sanno stare e se ci stanno …disimparano la vita. Eppure ad alcuni la vita simulata di fronte ad uno schermo piace, gli leva l’ansia, ma temo che – alla fine – gli faccia bene come i cioccolatini fanno bene ai diabetici.
E la Società…
Forse anche una Società alla quale chiedere conto non esiste più. E’ superata, rimpiazzata da una massa di individui indistinti che si trovano, disarmati, a combattere battaglie individuali che non possono vincere. Persino i movimenti di massa sono spesso organizzati e manovrati da chi ha sufficienti mezzi e motivazioni. La società, perciò, non può fare nulla. La Comunità ci stava stretta e ce ne eravamo già disfatti in onore di un modernità fasulla, sprovincializzata, costruita ad immagine del desiderio di profitto di tante aziende. La politica ormai…Boh?!
Ripartire dai principi
E allora come se ne esce, se se ne esce? Con consapevolezza e determinazione direi, aumentando la frequentazione di persone con le quali si condividono perlomeno i principi. Inutile sperare nella redenzione della classe politica. E non ho fiducia che la dialettica serva a qualcosa. Certamente non sui social media, dove si discute per avere ragione e non per capire.
Ormai Facebook (Instagram, per i più giovani) è divenuto il principale luogo di confronto, ma lì le opinioni sono estremamente polarizzate e il livello di aggressività è elevatissimo. Ed è proprio lì e direttamente su WhatsAapp, che vengono diffuse le fake-news. E non sappiamo più a cosa credere. E nemmeno lo sanno i ragazzi, che ascoltano noi e poi guardano disincantati questo mondo visto attraverso i social e preferiscono stordirsi, intorpidirsi, sperando che al risveglio tutto si sarà risolto e in cambio del sacrificio di lasciare il paese dei balocchi avranno una vita nella quale ai sacrifici corrisponda un premio che vale la pena.
Non sarà facile. L’esito è incerto, ma imparare a riconoscere le nostre mille dipendenze e provare a sottrarcene, facendo gruppo con chi condivide questi principi, avendo bene in mente il premio che ci attendiamo, mi pare l’unica cosa che valga la pena di fare.
Possiamo ingenerare un cambiamento, ma dobbiamo sapere che potremo farlo soltanto con un piccolo passo dopo l’altro.
Una risposta a “Dipendenze e messaggi nella bottiglia”
[…] A distanza di 35 rileggo questo articolo e mi rendo conto che le cose non sono migliorate. Il problema non riguarda più soltanto i più giovani e le dipendenze si sono moltiplicate. Provo a raccogliere qualche considerazione in un nuovo articolo. […]