L’ultima volta che lo aveva visto era stato 46 anni prima. Lui aveva 32 e lei 27. Erano innamorati pazzi. Lui era lo zio di sua cugina. Quella manciata di anni di differenza era il capriccio di vite con molti matrimoni e figli, cosicché una persona poteva essere nipote e coetanea del proprio zio.
E quell’amore era pazzo davvero, e pazzo due volte.
Era pazza la passione con cui si amavano, con la quale divoravano ogni istante insieme, sottratto alla vista e alla presenza degli occhi degli altri, che a loro parevano sempre troppo indiscreti. Ed era pazza persino la speranza, perché lui era sposato ed aveva dei figli, e nell’Italia dei primi anni settanta il divorzio non c’era. E se anche ci fosse stato, sarebbe stato un disonore, un marchio d’infamia, un’ammissione d’inadeguatezza. E in quegli anni un uomo che lasciava una moglie e i suoi figli… Non era un uomo degno di essere definito tale.
E persino la donna che non aveva saputo tenersi il marito, che non aveva saputo capirne le debolezze e i bisogni, doveva avere certo qualche colpa. Se no, perché il marito avrebbe scelto di lasciarla?
Così, quella storia che avrebbe gettato disonore su tutta la famiglia fu nascosta e soffocata. Le fu dapprima imposto di smettere di vederlo e poi, di fronte all’impossibilità di impedire quell’incendio, fu deportata nella provincia dalla quale veniva, senza nemmeno un ultimo bacio.
Da quel momento, il patto omertoso fu tacitamente sottoscritto da tutti i congiurati: chi sapeva non doveva sapere e chi non sapeva ancora, non avrebbe saputo mai. Il fuoco era stato restituito agli dei, il vaso di Pandora era stato richiuso e tutti i mali vi erano stati ricacciati dentro a forza.
Ma poi la legge sul divorzio arrivò. E la coppia che non era esplosa per causa sua, scoppiò comunque.
Ne beneficiò un’altra, che lo meritava assai meno, ma aveva dalla propria parte migliori consiglieri e tempi più maturi. Non fu un’unione felice, ma ci si abitua a tutto. E a nessuno si si sarebbero perdonati due volte simili sbagli.
Nonostante il dolore, finì per sposarsi anche lei, perché quando l’amore svanisce, rimane comunque il bisogno e farsi compagnia è un buon modo di ammazzare il tempo.
Così alla fine, era già un altro secolo, lo rivide.
Erano invecchiati entrambi, ma lui era rimasto bello. Non aveva nemmeno tanti capelli bianchi. Erano diventati grigi di colpo, ben dopo i settant’anni. Tutto sommato, benché ormai ne avesse quasi ottanta, ne dimostrava almeno dieci di meno. Però era sciupato. Due settimane in ospedale e un’operazione delicata lo avevano provato.
Lo baciò, ma non come aveva continuato a sperare, lo abbracciò, ma lui non poteva ricambiarla. Non erano più, i loro, i baci e gli abbracci di due amanti. Somigliavano più all’abbraccio di una Madonna al figlio morto in croce e pietosamente composto tra le sue braccia. E mentre lei aveva negli occhi lo stupore e l’orrore di una madre addolorata, lui aveva l’espressione muta e sollevata di un Cristo deposto.
Quel bacio che avevano atteso a lungo era finalmente arrivato, ma non aveva il sapore dolce che entrambi avevano immaginato.
Troppo era durata l’attesa. Troppe, forse, erano state le persone alle quali, in tante notti insonni, avevano deciso di sacrificare il loro amore.
È assurda la gerarchia degli amori: se ne sacrifica sempre qualcuno per onorarne uno più grande al quale, troppo spesso, si finisce per rinunciare in nome della ragionevolezza.
Così, talvolta, un sogno d’amore si riannoda malamente soltanto nel gelo di una camera mortuaria che, per insensato paradosso, viene definita “ardente”.
Ma il tempo non ha tempo. E quasi mai il passato passa davvero.
E quelle viti che ora gonfiavano il legno, mentre chiudevano la bara la risvegliavano dal sogno lucido dal quale non aveva mai voluto ridestarsi. Insieme a quelle spoglie, finiva in cenere anche la speranza che il giorno in cui si sarebbero nuovamente incontrati e amati sarebbe finalmente giunto.
E la vita, o quel che ne rimaneva, sarebbe continuata incurante.