Donato e Maria

Panchina al parco con foglie secche

Il mio vicino di casa si chiama Donato. Ha 67 anni ed è pensionato da 10 anni. Quanto lo incontro e gli do corda, mi racconta la sua vita, un po’ alla volta. Mi ha spiegato come mai sia andato in pensione così presto. Era un manager, ma per la sua azienda costava troppo, così gli han reso la vita difficile e alla fine ha preso i soldi che gli han messo in mano e se n’è andato. Per i primi cinque anni ha lavorato per degli amici, praticamente gratis. Loro lo sfruttavano, e lui lo sa, ma così si teneva occupato e vedeva un po’ di gente. Fare il consulente era umiliante, non una cosa bella. Una volta, prima, guadagnava bene, ma poi… consulente è un modo gentile per dire “precario sottopagato”.

Donato vive con sua moglie, Maria. Lei un po’ lavora: fa la segretaria dal figlio del suo vecchio capo, uno che commercia imitazioni di borse di marca. Donato non crede che padre e figlio abbiano davvero bisogno di una segretaria vecchia: secondo lui il capo è suo figlio sanno che Donato e Maria non se la passano bene, che hanno bisogno di soldi, e gli fanno un po’ pena. Una volta mi ha detto: ” I soldi che mi han dato quei bastardi sono quasi finiti e la pensione che mi arriva è una miseria.

Ogni mattina

E poi: “Ogni mattina esco per fare un giretto. A me dei cantieri non me ne frega niente, cammino. Il cardiologo dice che devo camminare, ma nemmeno di quello che dice lui me ne frega niente: io cammino per vedere gente, anche quando fa freddo. La gente la vedo, ma non si ferma mai nessuno. Al massimo ogni tanto mi attacca un bottone il vecchio tassista che abita nella scala di fianco. È più rincoglionito di me e nessuno gli parla, quindi quando mi vede e gli do retta, ha un bel po’ di arretrati da smaltire.

“Ogni mattina dispari, dopo la passeggiata, vado a fare la spesa. Ogni giorno cambio negozio, così vedo gente nuova. Compro poche cose, così posso uscire anche il giorno dopo.

Nei giorni pari vado a pagare le bollette. Una sola ogni volta. Vado negli orari più pieni, così vedo più gente. Prima le bollette me le facevo addebitare sul conto corrente, ma in questo modo controllo meglio le spese e mi tengo impegnato. Quando finisco le bollette, quando le ho pagate tutte, faccio delle donazioni per Vidas, per il Pane quotidiano, la Lega per la lotta contro i tumori o Padre Pio o altre cose così.

“In posta vado anche a ritirare i pacchetti di Amazon. Mi compro delle piccole cose, mi faccio dei regali di cose un po’ inutili, ma mi piace avere ogni giorno una piccola sorpresa. Così compro anche delle cose dai cinesi, sempre online. Costano poco e valgono poco, ma ci mettono un sacco di tempo ad arrivare e così non so mai cosa mi arrivi e quando. Poi torno a casa e cucino. Non è che ne abbia voglia, ormai anche mangiare mi annoia.

Non parlo mai

“Al telefono non parlo mai con nessuno. I miei amici, quelli che sono ancora vivi, hanno un sacco da fare, lavorano quasi tutti oppure fanno i nonni. È una rottura di palle, ma almeno hanno qualcosa da fare mentre aspettano di morire. Perché questo è: ormai lo sappiamo tutti che è inutile affannarsi. La fine è nota.

“Con la Maria non parlo praticamente mai, che quando è a casa o mette in ordine o dorme. È stato sempre così, ma io credevo che sarebbe cambiata, che aspettando un po’ le cose sarebbero andate in un altro modo. E giorno dopo giorno gli anni son passati e mi son fatto troppo vecchio. Ormai che faccio? In qualche modo ci facciamo compagnia.

“Di altre donne non ne ho: chi se lo prende un vecchio? E quelle della mia età non sono un granché: van bene per parlare, ma di che parliamo, a che scopo? Ogni tanto parliamo di musica, di cinema, di libri, ma più per abitudine che per piacere.

Ma ora, in più, c’è il Covid

“Ma ora, in più c’è il covid. Bisogna uscire sempre con la mascherina.  Molti negozi sono chiusi, ma io esco lo stesso, tanto  non parlo quasi mai con nessuno: io il distanziamento sociale lo praticavo già prima, anche contro la mia volontà.

“L’anno scorso ci sono pure finito, in ospedale, per il covid. Un mese e mezzo ci sono stato. Quando ho capito che non sarei morto mi sono fatto i buoni propositi per il futuro, come si fa a capodanno, ma poi me ne sono dimenticato, come succede sempre quando scampi un pericolo. Io non lo  sapevo di non aver voglia di morire, me ne sono accorto quando stava capitando. E così mi son fatto quelle promesse di cambiare tutto, di sbarazzarmi della roba di troppo e dei rapporti inutili, ho promesso di rigare dritto, ma poi… Non c’è niente da fare: siamo tutti delle bestie abitudinarie. Insomma… è un po’ una menata.

“E poi ci sono i miei coinquilini, i miei due figli. Uno ha trentacinque anni e l’altro 31. Stanno ancora a casa. Non lavorano non studiano. Sono lì, parcheggiati, sdraiati. Aspettano che io e la Maria moriamo, così si vendono la casa e credono che faranno la bella vita. Poveretti. Mi sa che è colpa nostra: gli abbiamo dato tutto quello che potevamo e forse era troppo, non hanno imparato a contare su loro stessi. E non è che siano tanto peggio di quegli altri della loro generazione. Son venuti su tutti senza spina dorsale, gli abbiamo fatto tutti tante promesse e al momento giusto… paf!:  gli abbiamo detto che la festa era finita e che non c’era più niente da mangiare. Insomma: prima li abbiamo illusi e poi li abbiamo disperati… Mah ci vuole fortuna nella vita.